L'Europa dopo le elezioni

Speciale UE | Le politiche di Sicurezza e Difesa: un’Unione della Difesa è possibile?

Newsletter Speciale, puntata n.5 - La sicurezza e la difesa sono diventate priorità per l'UE, soprattutto dopo l'invasione russa dell'Ucraina. In questa puntata, esploriamo le possibilità di una maggiore integrazione in questo settore.
Newsletter Speciale settembre - ottobre 2024 | Il Caffè Geopolitico - PUNTATA 5

Le Elezioni Europee e la nomina di una nuova Commissione Europea avvengono in un periodo nel quale, soprattutto a causa dell’invasione russa dell’Ucraina, i temi di sicurezza e difesa hanno assunto una forte rilevanza nel dibattito pubblico.
Non è quindi una sorpresa che siano oggetto di un capitolo specifico all’interno del documento “Europe’s choice: political guidelines for the next European Commission 2024−2029”, che costituisce il principale elemento programmatico generale della futura Commissione von der Leyen. Gli obiettivi proposti sono in teoria ambiziosi: oltre al continuo supporto all’Ucraina, si parla di “Unione della Difesa”, proponendo quindi una serie di iniziative che portino a una maggiore coordinazione degli sforzi dei singoli Paesi. Tra le principali: un mercato unico della Difesa, la creazione di un fondo per finanziare progetti di interesse comune e una serie di iniziative volte a coprire in maniera collegiale le principali mancanze degli apparati di difesa dei Paesi dell’Unione cercando di superare le resistenze nazionali. Per quanto si presenti come di largo respiro, in realtà è difficile osservare particolari novità rispetto ad analoghe iniziative passate.

I principali problemi
Nonostante aumenti ai budget della Difesa (reali o solo ventilati, e comunque non omogenei), programmi di riarmo e nuove iniziative comuni, un vero processo di razionalizzazione degli sforzi in ambito comunitario appare ancora lontano e l’idea spesso ventilata di un “esercito europeo” rimarrà ancora una semplice ipotesi.
La Difesa infatti è un tema ancora fortemente legato alle priorità nazionali prima che a quelle comunitarie e questo implica che, prima degli ostacoli materiali, siano quelli politici a costituire la parte principali delle difficoltà perche si possa avere una modifica sostanziale.
Alcuni degli elementi necessari per una politica di difesa comune che sia realmente efficace infatti sono:
1) Simile visione in politica estera su temi chiave di sicurezza internazionale: questo permette di avere comunione di strategia almeno a livello complessivo, che si esplica in avere priorità condivise (in termini di approccio generale e accordo nella definizione delle priorità stesse).
2) Una razionalizzazione della produzione militare in termini di efficienza: programmi industriali comuni che permettano alti volumi riducendo costi, fondi comuni per consentirne solidità di investimento anche a lungo termine, una decisione condivisa circa su quali piattaforme e asset concentrarsi.

Tuttavia entrambi questi aspetti incontrano problemi notevoli a causa dell’impronta fortemente nazionale delle politiche dei singoli Stati su questi aspetti.
Sul primo punto, l’Unione fatica ad avere una politica estera comune, in particolare in termini di relazioni con Paesi esterni dotati di grande influenza (politica e/o economica) o penetrazione della propaganda all’interno dell’UE: basti pensare a Cina o Russia, ma anche all’approccio spesso molto diviso nei rapporti con i Paesi dell’area MENA. Questo impedisce di avere una visione comune o consente di arrivare a iniziative comuni solo lentamente e dopo ardue discussioni, col risultato di avere opinioni differenti riguardo alle priorità sulla sicurezza. Per l’Italia è evidente per esempio l’interesse al “fianco meridionale”, mentre per i Paesi est-europei la minaccia principale rimane la Russia di Vladimir Putin. In questo anche la differente sensibilità dell’opinione pubblica dei vari Paesi sul tema “spendere per la difesa” gioca un ruolo fondamentale nel modellare la reazione della classe politica corrispondente.
Nel secondo caso, per i Paesi dotati di una sviluppata industria della Difesa (in primis Francia, Italia e Germania, ma vale anche per attori a cui spesso si pensa meno come la Svezia) una razionalizzazione dei fondi su meno progetti comuni implica anche un rischio alla propria industria in termini di proprietà del know-how, posti di lavoro e prospettive future. Per fare l’esempio forse più immediato, la Francia è particolarmente gelosa della propria industria nazionale, cosa che bloccherebbe ogni progetto comune che la veda penalizzata. Per quanto da un lato una via possibile sia quella delle joint ventures o consorzi, già sperimentata in passato, esistono veti incrociati che a volte rendono impossibile lavorare insieme anche all’interno dell’UE.

Non cambia molto rispetto al passato
In altre parole, per quanto le proposte avanzate siano di indubbio interesse, all’atto pratico le difficoltà che hanno fermato iniziative analoghe in passato risultano ancora presenti e nei documenti programmatici proposti emerge solo una generica intenzione di superarli (di nuovo, come auspicato inutilmente già in passato). E’ dunque plausibile immaginare esiti differenti?
Non a caso ormai non si parla più di “esercito europeo” in senso stretto, che peraltro coinvolgerebbe anche altre difficoltà addizionali (comando e controllo, strutture di supporto e logistica…) e rischierebbe di essere un duplicato dell’apparato NATO. Si punta invece a rafforzare proprio la cooperazione UE-NATO, dato che l’Alleanza Atlantica possiede già gli elementi che mancano all’UE e, grazie anche all’apporto fondamentale degli USA, non è a oggi sostituibile.
Maggiore successo potrebbe avere l’iniziativa di finanziamento di iniziative comuni laddove sia possibile distribuire la produzione su più siti rispettando interessi e capacità nazionali, soprattutto per aspetti quali le munizioni: data la richiesta sia in ottica di appoggio all’Ucraina sia di produzione per i propri arsenali, un finanziamento comunitario potrebbe garantire quei contratti a lungo termine che oggi spesso mancano e sono l’ostacolo principale a uno stabile aumento di produzione. L’iniziativa a guida Repubblica Ceca in tal senso ha mostrato la capacità di raccogliere fondi… pur davanti all’impossibilità di investirli internamente in UE data la scarsa capacità produttiva. Appare tuttavia un risultato molto limitato rispetto agli obiettivi teorici che si pone la Commissione.

Lorenzo Nannetti

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Indice e puntate precedenti:
  1. Il nuovo panorama politico | di Giorgio Fioravanti - Venerdì 6 settembre
  2. Il contesto economico | di Davide Tentori - Venerdì 13 settembre
  3. Sicurezza economica e grandi transizioni | di Paolo Pellegrini - Venerdì 20 settembre
  4. Il futuro della politica commerciale | di Filomena Ratto - Venerdì 27 settembre
  5. Sicurezza e Difesa | di Lorenzo Nannetti - Venerdì 4 ottobre
  6. Ritorno al futuro: quali prospettive? | di Davide Tentori - Venerdì 11 ottobre

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